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Psicoterapia

Risposte a domande frequenti

Sessuologia

Domande frequenti

Differenza tra psicoterapia, counseling e coaching

I tre tipi di intervento hanno strumenti teorici e tecnici differenti, obiettivi di maggiore o minore impatto sulla struttura complessiva della persona. La tipologia delle richieste e gli obiettivi oggetto di intervento sono diverse, come la prevedibilità della durata degli stessi. La parola è un elemento comune.

  • La Psicoterapia è un trattamento dei disturbi psicologici che prevede incontri periodici con un professionista psicoterapeuta per aiutare il paziente a migliorare la qualità della sua vita. Favorire il cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti del paziente è lo scopo della psicoterapia, in modo da ridurne il disagio e la sofferenza.
  • Il Counseling si pone obiettivi precisi ed è efficace per la risoluzione di un problema. Aiuta i clienti a prendere una decisione in breve e ben definito spazio temporale.
  • Il Coaching aiuta il cliente a stabilire e raggiungere obiettivi concreti a livello personale e professionale. Ad esempio, gestire meglio il denaro, migliorare le relazioni interpersonali o realizzare un progetto di lavoro.

Differenza tra psicoterapia e psicoanalisi?

Lo psicoterapeuta deve possedere i seguenti requisiti:

  1. essere laureato in Psicologia o in Medicina e chirurgia;
  2. essere iscritto all’Ordine degli Psicologi di una regione italiana;
  3. aver frequentato una scuola di specializzazione della durata di almeno 4 anni, riconosciuta dallo Stato che permette l’iscrizione all’Albo degli Psicoterapeuti.

Lo psicanalista è uno psicoterapeuta che si ispira alla psicanalisi di Freud e dei suoi successori.

Le qualifiche necessarie per ottenere il titolo di psicanalista sono:

  1. essere laureato in Medicina e chirurgia o in Psicologia;
  2. essere iscritto all’Ordine dei Medici o a quello degli Psicologi;
  3. aver frequentato una scuola di formazione in psicoanalisi.

La psicoterapia cognitiva

Lo sviluppo della Psicoterapia Cognitiva è legato alla necessità di fornire fondamento scientifico al trattamento psicologico dei disturbi mentali ed emotivi. Il termine “cognitivo” fa riferimento in modo particolare al rilievo dato alle modalità di pensiero, di conoscenza di sé e di sé con gli altri. La Psicoterapia Cognitiva si prefigge due obiettivi principali. Il primo è quello di definire il tipo di pensiero che accompagna le emozioni negative (ex. dolore, sconforto, paura). Il secondo consiste nel cercare delle modalità alternative, più funzionali, di affrontare le situazioni problematiche. L’adozione di modalità di pensiero più costruttive conduce a una modificazione dell’esperienza emozionale dolorosa. Attualmente la Psicoterapia Cognitiva copre il campo del trattamento di tutti i disturbi mentali: disturbi dell’area nevrotica- disturbi d’ansia, fobie, ossessioni, compulsioni- depressione, disturbi del comportamento alimentare, disturbi di personalità o d’abuso di sostanze, schizofrenia, come pure quelli nell’età evolutiva o nell’anziano. Utilizza, all’interno della cornice relazionale supportata dalla progressiva condivisione di senso, molte tecniche di derivazione comportamentale, cognitiva e relazionale, in incontri individuali, di famiglia o gruppo, nonché in situazioni d’intervento istituzionale. La Psicoterapia Cognitiva si presta a essere scientificamente indagata in modo più agevole che non altre forme di psicoterapia, ed è quindi possibile la valutazione dell’efficacia dell’intervento. Anche per queste ragioni, si presta a sinergie con il trattamento psicofarmacologico oppure a rappresentare un aspetto strategico insostituibile come avviene nei programmi complessi di riabilitazione psicosociale. (fonte: Società Italiana di Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva www.sitcc.it )

Teoria cognitiva post-razionalista

Non esiste una realtà univoca per tutti, oggettiva e le nostre percezioni di realtà non corrispondono  a fotografie della realtà oggettiva. La realtà non è più intesa come ordine univoco, valido per tutti in cui sia già contenuto il senso delle cose: la realtà è vista come un fluire continuo, multidirezionale e a più livelli, di processi che sono in continuo svolgimento, lungo una direzione che per noi è percepibile sempre dalla posizione in cui li osserviamo.

Modello di uomo come attivo elaboratore di informazioni su di sé e sul mondo, di significati personali (psicologia come scienza dei significati personali). V.F. Guidano

(Guidano V., La complessità del Sè, Bollati Boringhieri, 1988)


Teoria dell'attaccamento

L’attaccamento è la propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore, impotenza o malattia. (Bowlby,1969)

L’ attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba (Bolwby, 1982)

John Bowlby è stato uno dei primi psicologi a notare che la presenza o l’assenza della figura di attaccamento nei primi anni di vita è di importanza fondamentale per il successivo sviluppo della personalità dell’individuo. L’attaccamento è il bisogno innato del bambino di vicinanza della figura che lo accudisce (caregiver, che generalmente è la madre) e ne garantisce la sopravvivenza. La base teorica di Bowlby è la teoria psicoanalitica che l’autore ha integrato con la teoria etologica di Lorenz e Tinbergen e con quella epistemologica di Piaget. Questa rielaborazione ha messo in primo piano la prospettiva relazionale (non più puramente intrapsichica) e l’importanza dell’esperienza reale dell’individuo con la figura di attaccamento. Bowlby, rifiutò il modello di sviluppo secondo il quale il bambino avanza dalla fase orale a quella anale per giungere a quella genitale (Freudd), affermando che il legame madre-bambino non si basa solo sulla necessità di nutrimento del piccolo, ma sul riconoscimento delle emozioni e dimostrò come lo sviluppo armonioso della personalità di un individuo dipenda principalmente da un adeguato attaccamento alla figura materna o un suo sostituto.

I punti essenziali della t:eoria sono:

  • l’attaccamento è un bisogno primario e innato, in quanto è indipendente da altri bisogni (ad es.empio il bisogno di nutrimento) e contribuisce alla sopravvivenza della specie;
  • l’attaccamento si esplica attraverso cinque modelli comportamentali istintuali che sono il piangere, il succhiare, l’aggrapparsi, il sorridere e il seguire. Questi comportamenti vengono attuati dal bambino verso la figura di attaccamento principale;
  • il bambino e il suo caregiver formano una diade, in cui sono entrambi geneticamente predisposti all’interazione.
  • le ripetute interazioni madre-bambino permettono al bambino di costruire modelli di sè e degli altri (modelli operativi interni), che operano inconsapevolmente e permettono al bambino di costruirsi delle aspettative e di valutare le interazioni con gli altri;
  • il caregiver diventa la base sicura che permette al bambino di allontanarsi per esplorare il mondo, ma che rimane disponibile ad accogliere il bambino in momenti di difficoltà o pericolo;
  • la separazione improvvisa dalla figura di attaccamento provoca nel bambino la reazione di protesta, che si manifesta con pianto, urla e altri comportamenti, probabilmente finalizzati alla punizione e alla riparazione verso la figura di attaccamento;
  • il comportamento di attaccamento rimane attivo lungo tutto il ciclo vitale. Le figure di attaccamento cambiano e l’individuo diventa più autonomo, ma l’esigenza di attaccamento affettivo ad una o più persone rimane. Il matrimonio può essere letto come manifestazione adulta dell’attaccamento, in quanto tale relazione fornisce una base sicura, permettendo lavoro, esplorazione e protezione in situazioni di difficoltà.

Un limite della teoria dell’attaccamento é rappresentato dal rischio che le figure genitoriali siano viste come le cause principali di disadattamento del bambino e venga tralasciata l’importanza delle differenze individuali dei bambini, che possono avere un peso discriminante nello sviluppo della personalità. Per John Bowlby il buon esito del processo di attaccamento si esplica in uno stile di attaccamento sicuro, caratterizzato nel bambino da un atteggiamento fiducioso di poter ottenere, dalla figura d’attaccamento, un’attenzione sollecita in caso di bisogno. Il bambino sente di potersi allontanare senza timore da essa per esplorare con sicurezza ambienti nuovi, e si mostra socievole con gli estranei, quando la figura di riferimento è presente. Se il caregiver si allontana mentre il bambino è in un ambiente nuovo o con un estraneo, egli protesta, piange e cerca il contatto con la figura d’attaccamento, finché questa non ritorna e lo prende in braccio. A questo punto il bambino sicuro si calma e ricomincia tranquillamente il gioco e l’esplorazione. Il bambino sicuro, divenuto adulto, si sentirà probabilmente in grado di vivere le relazioni intime in modo sereno e fiducioso, accettando con sufficiente serenità i momenti di distacco, facendo ricorso sia alle proprie risorse emotive che all’aiuto esterno. Un adulto con stile di attaccamento sicuro sente di poter accettare le sfide della vita che gli si presenteranno, certo di poter contare sulle proprie forze e di saper trovare aiuto, in caso di bisogno, in un mondo esterno disponibile e non ostile.

Approfondisci su State of mind

Sistemi Motivazionali Interpersonali

La coscienza umana nasce, vive e si sviluppa solo nel contesto della relazione fra persone. “… l’uomo (come gli altri primati) ha una vita di relazione fondata su alcune forme o tipi basilari di interazione sociale, a cui a cui è predisposto per via innata; queste forma di interazione sociale appaiono come condotte soggette a regole, ogni sistema di regolazione di una data forma di interazione corrisponde a un valore evoluzionistico di sopravvivenza e di successo riproduttivo per tutti i contraenti della relazione. Ogni forma di interazione può essere utilmente comsiderata come un insieme o sistema di regole di condotta sociale che è comodo chiamare, per brevità, “sistema comportamentale” o sistema motivazionale” sociale. Nell’uomo, l’aggettivo “sociale” può essere utilmente sostituito con “interpersonale”. […] L’osservazione comparata del comparatamento sociale di diverse specie animali e dell’uomo (Eibl-Eiblesfeldt, 1984) suggerisce che i sistemi motivazionali sociali (detti anche limbici), la cui base è innata e frutto dell’evoluzione, sono almeno cinque.”

(Liotti G., La dimensione interpersonale della coscienza, Carocci, 2005)

Attaccamento

“Quando ti trovi in difficoltà, per stanchezza, paura, dolore, ecc., mantieniti vicino o ripristina la vicinanza ad un membro conosciuto del tuo gruppo sociale che ti appaia più forte o più saggio”

Accudimento – Cura

“Se un membro conosciuto del tuo gruppo ti chiede, tacitamente o esplicitamente, aiuto, daglielo: e daglielo con particolare sollecitu­dine se è un tuo discendente genetico”

Agonistico (dominanza – subordinazione)

“Se ti trovi a competere con un membro del tuo gruppo per un bene o una risorsa, mostragli la tua forza; se rischi di essere danneggiato perchè è più forte di te, comunicagli che riconosci la sua superiorità attraverso segnali di sottomissione; se è l’altro a segnalarti sottomis­sione, interrompi l’attacco e consentigli di restarti vicino”

Sessuale

“Cerca un membro del tuo gruppo dell’altro sesso che si dichiari di­sponibile all’accoppiamento: all’accertarsi reciproco di tale disponi­bilità attraverso segnali di corteggiamento, a consumare il coito, a mantenere poi la vicinanza reciproca in vista di nuovi incontri ses­suali e in vista dell’accudimento congiunto della prole”

Cooperativo paritetico

“Se un membro del gruppo è come te interessato a raggiungere un dato obiettivo, più facile da raggiungere attraverso uno sforzo con­giunto, consideralo come un pari e non solo in base al rango di domi­nanza”

Motivazione

Il modello di Maslow comprende cinque categorie di bisogni organizzati gerarchicamente. Alla base della piramide motivazionale troviamo i bisogni fisiologici connessi alla sopravvivenza fisica dell’organismo (fame, sete, sonno,…); su questa base si innestano poi i bisogni di sicurezza che devono garantire all’individuo protezione, prevedibilità, tranquillità; una volta soddisfatte queste esigenze possono emergere i bisogni di appartenenza e di attaccamento che rispondono alla necessità di sentirsi parte di un gruppo, si amare ed essere amati e di cooperare con gli altri; il livello superiore è rappresentato dai bisogni di stima che concernono il bisogno di essere rispettato, apprezzato ed approvato, nonché di sentirsi competenti e produttivi; seguono i bisogni di autorealizzazione  intesi come l’esigenza di realizzare la propria identità, di portare a compimento le proprie aspettative e potenzialità, nonché di occupare una posizione significativa all’interno del proprio contesto sociale di riferimento. A questi 5 livelli si potrebbe aggiungere un ulteriore livello motivazionale rappresentato dai  bisogni di trascendenza intesi come la tendenza ad andare oltre sé stessi per sentirsi parte di un insieme più vasto, di un ordine cosmico o divino.

La teoria comportamentista  propone un modello esplicativo dei bisogni dell’essere umano fondato sull’interazione tra pulsione ed abitudine. A livello delle motivazioni primarie fisiologiche la pulsione, originatasi da una condizione di carenza prodotta da un bisogno, fornisce la spinta energetica determinando una condizione di attivazione dell’organismo che consente di mantenere un livello di stimolazione ottimale per rispondere efficientemente agli stimoli, raggiungendo una certa meta o evitando una condizione frustrante. Le motivazioni secondarie, invece, vengono spiegate sulla base dei processi di apprendimento per associazione, secondo i meccanismi del condizionamento classico ed operante. L’associazione ripetuta tra pulsione e risposta crea nell’individuo un’abitudine che serve a dare una direzione al comportamento rendendo prevedibile la condotta opportuna per soddisfare o ridurre il bisogno. La teoria behavioristica, dunque, si propone di individuare le condizioni per stabilire e mantenere un rapporto ottimale tra individuo e ambiente attraverso processi di apprendimento e di associazione nelle connessioni tra stimolo e risposta.

Il modello cognitivista, definisce la motivazione una meta o un valore da raggiungere in grado di creare aspettative e guidare la condotta. La sfera motivazionale viene così, di fatto, sottratta alla sfera biologica. In tale ottica, infatti, motivazioni e bisogni cambiano in rapporto alla quantità e alla qualità delle informazioni provenienti dall’ambiente che l’organismo è in grado di elaborare; l’attenzione viene focalizzata sui processi cognitivi sottesi all’individuazione e alla definizione delle mete da raggiungere e alla valutazione delle probabilità di riuscita o di fallimento. In sostanza, gli individui agiscono in modo da ottimizzare non tanto il valore oggettivo, quanto l’utilità soggettivamente intesa attribuendo un ruolo di fondamentale importanza alle aspettative.

Una particolare prospettiva di studio, detta  scopistica, considera la motivazione uno scopo. Già i lavori di Miller, Galanter e Pibram avevano introdotto il concetto di comportamento guidato da scopi attraverso l’individuazione dell’unità TOTE (test-operate-test-exit); secondo tale ottica le motivazioni devono essere concepite come sistemi gerarchici di scopi e come sistemi di vigilanza e controllo sul perseguimento degli scopi medesimi. Uno scopo generale si articola e si scompone in diversi livelli di sottoscopi fra loro coordinati ed integrati, fino a raggiungere le singole azioni. Un ruolo fondamentale nella definizione degli scopi e delle strategie per raggiungerli è svolto dallo stile attribuzionale dell’individuo, ovvero dalla sua tendenza ad attribuire la causalità degli eventi a fattori esterni o interni. Ne consegue l’esistenza di una stretta connessione tra motivazione ed immagine di sé: una buona immagine di sé tende a favorire scopi elevati e un buon livello di autoefficacia percepita.

Lo studio della motivazione può essere affrontato anche dal punto di vista interazionista secondo il quale le motivazioni sono suscitate, alimentate e regolate dai processi relazionali. Nelle motivazioni primarie i rapporti interpersonali assumono un ruolo fondamentale nell’orientare la loro manifestazione e il loro soddisfacimento (convivialità). Parimenti, le motivazioni secondarie sono sostenute e governate da giochi relazionali che si creano all’interno di una determinata comunità, portando l’individuo ad agire con modalità differenti a seconda del rete relazionale in cui è inserito.

Antonio Damasio, una stella polare

Il punto di partenza di Antonio Damasio, sostenuto dall’osservazione di diversi casi clinici, è che il cervello non può essere studiato senza tener conto dell’organismo a cui appartiene e dei suoi rapporti con l’ambiente. Per Damasio, lo studio delle funzioni cognitive, e in particolare dellacoscienza, ha subito per lungo tempo l’influsso di una tradizione filosofica che può essere fatta risalire a Cartesio. Questi ci propone, infatti, una concezione che separa nettamente la mente dal corpo, attribuendo alla prima, addirittura, un fondamento non materiale.L’errore di Cartesioè stato quello di non capire che la natura ha costruito l’apparato della razionalità non solo al di sopra di quello della regolazione biologica, ma anche a partire da esso e al suo stesso interno.
Il processo decisionale (ad esempio quello di compiere una scelta tra due o più alternative), per Damasio è condizionato dalle risposte somatiche emotive osservabili, utilizzate dal soggetto come indicatori della bontà o meno di una certa prospettiva: i sentimenti somatici normalmente accompagnano le nostre aspettative del possibile esito delle varie opzioni di una decisione da prendere; in altre parole, i sentimenti fanno parte in qualche modo del contrassegno posto sulle varie opzioni; in tal modo imarcatori somaticici servono come strumento automatico che facilita il compito di selezionare opzioni vantaggiose dal punto di vista biologico. Nelle scienze biologiche, l’orientamento cartesiano ha avuto come conseguenza quello di emarginare la mente dal campo della ricerca, ritardando ogni serio tentativo di indagarla mediante un approccio scientifico rigoroso. La coscienza, nel modello di Damasio, è studiata in funzione di due componenti fondamentali: l’organismo e l’oggetto, insieme alle relazioni che si sviluppano tra loro nel corso delle loro interazioni. In tale prospettiva, la coscienza consiste nella costruzione di conoscenze rispetto a due aspetti:

– l’organismo che entra in relazione con qualche oggetto;
– l’oggetto coinvolto nella relazione che causa un cambiamento nell’organismo.

Comprendere la biologia della coscienza significa quindi capire in che modo il cervello riesce a rappresentare le due componenti – organismo e oggetto – e in che modo si stabilisce la relazione tra questi. Secondo Damasio, la coscienza inizia come unsentimento, un tipo particolare di sentimento, ma comunque qualcosa di assimilabile a questo, anche se non completamente sovrapponibile alle altre modalità sensoriali rivolte al mondo esterno. In ogni caso, coscienza ed emozione non sono separabili, poiché la prima è indissolubilmente legata al sentimento del corpo.

Da un punto di vista evolutivo, leemozionisono risposte fisiologiche che mirano ad ottimizzare le azioni intraprese dall’organismo nel mondo che lo circonda. A sostegno di queste tesi, il neurofisiologo portoghese riporta alcune prove neurologiche che mostrano come certi meccanismi cerebrali siano comuni sia alle emozioni che alla coscienza, giungendo alla conclusione che la coscienza rappresenti fondamentalmente un aspetto ausiliario della nostra dotazione biologica di adattameno all’ambiente.

Nella concezione di Damasio, la coscienza non è monolitica, ma può essere distinta in:

-Proto-sé

Fenomeno primordiale di autoidentificazione che l’uomo condivide con gli animali superiori, alle cui base sono le emozioni, eventi strettamente biologici, sui quali si sviluppano poi i sentimenti (paura, fame, sesso, rabbia…) che hanno come motore l’interazione tra l’organismo e il mondo oggettuale. Il “proto-sé” non è consapevole di sé: rappresenta semmai quella parte del sé che impara poco per volta a riconoscersi come parte separata dal mondo esterno.

-Coscienza nucleare

Fenomeno biologico nel quale sono contemporaneamente presenti tre elementi: l’oggetto di sui si è coscienti, la posizione del proprio corpo rispetto a quell’oggetto e la relazione che si stabilisce tra queste due entità. La coscienza nucleare fornisce all’organismo un senso di sé qui e ora; non ci dice nulla riguardo al futuro. L’unico passato che possiede è quello, vago, relativo a ciò che è appena accaduto.

-Coscienza estesa

Si forma sulla base della coscienza nucleare ed è all’origine del “sé autobiografico”.

Questo livello di coscienza richiede il linguaggio, poiché solo attraverso di esso possiamo formulare la nostra storia personale, in cui prendono posto i ricordi, le speranze, i rimpianti e così via.

Il modello di coscienza proposto da Damasio è un modello gerarchico, per cui non può darsi il sé nucleare senza il proto-sé e non può darsi quello autobiografico senza il sé nucleare. A Damasio va senz’altro riconosciuto il merito di aver contribuito a introdurre il corpo nella discussione scientifica sulla coscienza. L’idea che l’organismo partecipi all’esperienza cosciente rompe nettamente con una tradizione che vuole la mente ben distinta dal corpo e restituisce alla coscienza stessa i requisiti biologici indispensabili per farne un oggetto di studio scientifico.

BRANI ANTOLOGICI

[E’ convinzione diffusa che l’utilizzo della logica formale sia di per sé in grado di condurci] alla soluzione migliore tra quelle possibili, per qualsiasi problema. Un aspetto importante di questa concezione razionalistica è che bisogna escludere le emozioni, per ottenere i migliori risultati: l’elaborazione razionale non deve essere impacciata da passioni.

[da Damasio, L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano, 1995, pag. 242]
[Sostengo che], se questa strategia è l’unica possibile, la razionalità […] non può funzionare. Nel migliore dei casi, la decisione richiederà un tempo troppo lungo, assai più tempo di quanto si possa accettare [nelle comuni circostanze]. Per quale motivo? Perché non è facile tenere a memoria i molteplici livelli di guadagni e perdite che bisogna confrontare: dalla lavagna della memoria semplicemente scompaiono le rappresentazioni dei passi intermedi che bisogna tenere in serbo e poi passare in rassegna per trasferirli nella forma simbolica richiesta per operare l’inferenza logica.

[da Damasio, op. cit., pag. 243]

Il nostro cervello sovente può decidere bene in minuti o in frazioni di minuto, a seconda del quadro temporale che stabiliamo come appropriato per gli obiettivi che vogliamo conseguire; se così è, allora non è soltanto con la ragione pura che esso deve eseguire il suo mirabile compito. Occorre un’altra prospettiva. [da Damasio, op. cit., pag. 244]

I “marcatori somatici”

Che cosa fa il marcatore somatico? Esso forza l’attenzione sull’esito negativo al quale può condurre una data azione, e agisce come un segnale automatico di allarme che dice: attenzione al pericolo che ti attende se scegli l’opzione che conduce a tale esito. Il segnale può farvi abbandonare immediatamente il corso negativo d’azione e così portarvi a scegliere fra le alternative che lo escludono; vi protegge da perdite future, senza ulteriori fastidi, e in tal modo vi permette di scegliere entro un numero minore di alternative. […] Nel normale processo umano di decisione i marcatori somatici possono non essere sufficienti, poiché in molti casi […] avrà ancora luogo un successivo processo di ragionamento e decisione finale. […] In breve, i marcatori somatici sono esempi speciali di sentimenti generati a partire dalle emozioni secondarie. Quelle emozioni e sentimenti sono stati connessi, tramite l’apprendimento, a previsti esiti futuri di certi scenari. Quando un marcatore somatico negativo è giustapposto a un particolare esito futuro, la combinazione funziona come un campanello d’allarme; quando invece interviene un marcatore positivo, esso diviene un segnalatore di incentivi, [da Damasio, op. cit., pagg. 245-6]

L’errore di Cartesio

Qual era […] l’errore di Cartesio?Si potrebbe cominciare con una rimostranza: rimproverandogli di aver convinto i biologi ad adottare (fino ai nostri giorni) meccanismi simili a orologi per i processi della vita. Ma questo forse non sarebbe proprio corretto; e allora si potrebbe continuare con il “Penso, dunque sono”. L’enunciato, il più famoso di tutta la storia della filosofia […], esprime esattamente il contrario di ciò che io credo vero riguardo alle origini della mente e riguardo alla relazione tra mente e corpo; esso suggerisce che il pensare, e la consapevolezza di pensare, siano i veri substrati dell’essere. E siccome sappiamo che Cartesio immaginava il pensare come un’attività affatto separata dal corpo, esso celebra la separazione della mente, la “cosa pensante” (res cogitans), dal corpo non pensante, dotato di estensione e di parti meccaniche (rex estensa). [da Damasio, op. cit., pagg. 336-7]

VITA

Nato a Lisbona e laureato in medicina, Antonio Damasio opera negli USA. Rappresenta una delle figure di maggior spicco a livello mondiale nel campo delle neuroscienze. E’ autore di importanti pubblicazioni sulla memoria, sulla fisiologia delle emozioni e sulla malattia di Alzheimer. I laboratori di ricerca che Damasio e sua moglie Hanna hanno realizzato presso l’Università dello Iowa, sono considerati ormai un punto di riferimento per lo studio dei fenomeni nervosi che sono alla base dei processi cognitivi. Antonio Damasio è membro di prestigiose associazioni, come l’European Academy of Science and Arts e l’American Neurological Association; fa parte inoltre dei comitati scientifici di importanti periodici dedicati alle neuroscienze e di alcune fondazioni di ricerca.

Ipovisione e cecità

L’ipovisione è una definizione generica che indica una grave riduzione delle capacità visive, che può essere dovuta a molteplici cause. Come per altre forme di disabilità, oltre al problema specifico, l’atteggiamento dei familiari rispetto alla malattia è di fondamentale importanza per l’integrazione della persona nella società. e per il raggiungimento del più ampio grado di autonomia possibile.

Non sempre le famiglie sono in grado di accogliere la malattia, o il trauma sopraggiunto, in modo da aiutare il raggiungimento e il mantenimento dell’autonomia del soggetto. Sembra naturale cercare di aiutare in tutti i modi possibili il familiare ipovedente, ma spesso questi aiuti limitano le capacità di adattamento o addirittura la inibiscono al punto da condurre il soggetto alla totale dipendenza da figure esterne.

È comprensibile il desiderio di aiutare un figlio che vede pochissimo, ma è indispensabile favorire quelle esperienze che gli consentano di trovare nuove vie per affrontare la vita, del tutto personali e adatte alla propria condizione. Aiutare a superare gli ostacoli di chi è in difficoltà è di per sé un fine nobile, ma se limita eccessivamente le esperienze può impedire lo sviluppo di una sufficiente fiducia nei propri mezzi, con conseguente dipendenza dal mondo esterno.

Metto a disposizione delle persone ipovedenti / cieche e delle loro famiglie la mia esperienza di ipovedente e la preparazione di psicologo, per favorire il processo di autonomizzazione. Svolgo questa funzione lavorando sia con i soggetti ipovedenti che con le persone della loro famiglia, affinchè il cambiamento verso l’autonomia possa avvenire in modo armonico.

ANSTra le associazioni che offrono informazioni qualificate su come affrontare l’ipovisione suggerisco l’ANS, Associazione Nazionale Subvedenti di Milano, che da 40 anni ha, tra i suoi obiettivi, l’emancipazione e l’autonomia delle persone con disabilità visiva.
Telefono: 02.70632850
Sito Web: www.subvedenti.it

Requisiti dello psicoterapeuta

  1. essere laureato in Psicologia o in Medicina e chirurgia;
  2. essere iscritto all’Ordine degli Psicologi di una regione italiana;
  3. aver frequentato una scuola di specializzazione della durata di almeno 4 anni, riconosciuta dallo Stato che permette l’iscrizione all’Albo degli Psicoterapeuti.

La salute sessuale per il terzo millennio

La salute sessuale per il terzo millennio è l’opuscolo prodotto dalla Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica (FISS), che sintetizza in italiano il documento originale Sexual Health for the Millennium. A Declaration and Technical Document World Association for Sexual Health (WAS 2008).